sabato 1 agosto 2009

Guardiani dell'informazione

I Guardiani della Rivoluzione controllano i mezzi di comunicazione, ma il web non ci sta. Ecco come vive e si nutre la cyber-rivoluzione iraniana.



Whenever he gets released, he will write here on his website.Mohammad Ali Abtahi, vice presidente durante la presidenza di Mr. Khatami e consulente di Mr. Karroubi nell’elezione presidenziale, oggi (martedì) è stato arrestato. Una volta rilasciato scriverà sul suo sito”. Questo è quanto è possibile leggere in uno dei tanti blog costretti al silenzio forzato: in prigione non ci sono computer. Abtahi in Iran è definito “The Blogging Mullah”.

Il blog-fai-da-te. In Iran il termine blogging si accosta magnificamente ad ogni cosa. Quando rimane l’unico mezzo. Hossein Derakhshan è uno dei primi blogger iraniani. Nel 2000 decise di scrivere una semplice guida in persiano per aiutare gli altri a creare e organizzare il proprio blog. Sette mesi dopo i blog in persiano erano più di 1.200, di cui la maggior parte scritti da donne. Tutto comincia da lì.


Se non fosse per i blog, il mondo - con i suoi giornalisti rinchiusi negli hotel di Tehran o rimandati a casa - rimarrebbe totalmente al di fuori di questi eventi scioccanti. Il che, osservato con gli occhi cinici di uno studioso dei media, non risulterebbe altro che come una totale rivincita del blog, di internet, e del blogger in particolare: di colui che ha sempre aspirato ad imporsi nell’informazione indipendente e libera, ma che è sempre stato soppiantato - in autorevolezza - dei media più attempati. Ora i media in Iran non ci sono. E i media internazionali, nel panico da vuoto di notizie di agenzia, che fanno? Fanno diventare notizie le uniche informazioni che gli giungono! O meglio, diventano notizia le fonti.

Diventa “notizia” il blog iraniano. E gli articoli dei media occidentali si riempiono di dichiarazioni tratte dai blog. Nonostante siano quasi 10 anni che l’Iran è tra i Paesi con il più alto numero di blog. Diventano notizie i social network, Twitter e Facebook. Nonostante sia da anni il contenitore delle rivendicazioni “cinguettate” silenziosamente.



(www.flickr.com/photos/arasmus)


Where is my…blogger? Mentre in queste ore il Basiji (i volontari della milizia islamica) fa irruzione nelle case e brucia le auto per le strade per creare un clima di terrore, sono più di 2.000 gli iraniani arrestati e centinaia quelli scomparsi secondo la Federazione Internazionale dei Diritti Umani. Reporter senza Frontiere al 20 giugno registrava 59 tra blogger e giornalisti che avevano lasciato le tastiere dei loro pc. Il numero più alto al mondo, più alto addirittura della Cina e di Cuba.

Her name was Neda. Tra gli scomparsi, un volto è diventato il simbolo di questa “rivolta silenziosa”: Neda. La studentessa di filosofia uccisa mentre camminava nel corteo con suo padre. Una morte in mondo-visione. Una morte che su You Tube è stata osservata secondo per secondo almeno da 68.000 utenti.

Non solo, quindi, il simbolo è la morte (ci sono altri casi di ragazzi uccisi, sul web) ma è donna. Una donna che era stata fin troppo al suo posto, celata non dal velo, ma dal muro di ipocrisia che la faceva diventare una metà figurante dell’uomo. Come Neda, tra le fila delle dimostrazioni di questi giorni sono molte le donne presenti nelle strade contro la frode delle elezioni. Per le donne iraniane la definitiva vittoria di Ahmadinejad significa dire addio ai diritti di eguaglianza per cui lottano da anni.

Mir. Hossein Mousavi, aveva promesso di riformare le leggi sul trattamento ingiusto delle donne. Per come stanno le cose ora, una donna iraniana che testimonia in una corte ha un’importanza che è solo la metà di quella di un uomo. Le donne non hanno un divorzio equo, la custodia dei bambini e nemmeno i diritti di eredità. Ecco perché Mousavi è popolare tra molte elettrici, e sua moglie Zahra Rahnavard è probabile che abbia anche più fan. È stata rettore, apprezzata dalle folle negli eventi politici, in cui è tutto meno che invisibile: non ha mai avuto paura di parlare delle proprie idee sui diritti delle donne iraniane.

Donne indipendenti. Sul Feminist School si legge che “Tajrish sq. Emamzadeh Saleh (un santuario a nord di Tehran) e il memorabile Tajrish Bazaar hanno ospitato i membri volontari del Movimento di coalizione delle donne”. Esse hanno entusiasticamente richiesto una presenza indipendente per le donne nello spazio elettorale della città. Il loro slogan era: “Votiamo per i Diritti delle Donne.” Obiettivo primario è che le autorità iraniane mettano fine a tutte le leggi discriminatorie contro le donne.

Campagne e siti proibiti. Sussan Tahmasebi, attivista dei Diritti delle donne scrive su NPR: “La questione dei diritti delle donne è il maggior argomento di queste elezioni e segna la prima volta l’ingresso, specificamente indirizzato e nel dettaglio, della riforma dei diritti delle donne in un’elezione. Nel 2008 il governo conservatore iraniano propose una tassa sull’accomodamento prenuziale per ridurre il peso finanziario sugli uomini, contro cui molti leader della “One Million Signature Campaign” (dichiarata illegale da Ahmadinejad) hanno lavorato a lungo. Nel settembre 2008 la carta per la tassa ritorna al consiglio legislativo, citando il problematico immischiarsi del governo nei contratti privati. Tuttavia la primaria opposizione alla carta del governo venne dalla percepita promozione della poligamia. La poligamia e la tassa prevista furono rimosse dalla carta che è passata il 9 settembre. Dopo la vittoria con la carta del matrimonio nel settembre 2008, una corte condannò alla detenzione quattro donne, tutte coinvolte nella “One Million Signatures Campaign”, per aver dato il loro contributo su siti proibiti. Furono identificate come Mariam Hossein-khah, Nahid Keshavarz, Jelveh Javaheri and Parvin Ardalan”.








(www.flickr.com/photos/forleen)






Donne e blog non è come donne e motori, ma ha lo stesso un alto tasso di pericolosità. Basta osservare la lista delle blogger e giornaliste arrestate (in fondo al testo). Anche se da uno studio condotto da Maryam Kiani presso l’Allameh Tabatabai University di Tehran, è risultato che tra le categorie in cui è possibile dividere i blog delle donne iraniane emergono soprattutto (per il 74%) “giornali personali” sui pensieri e sentimenti del blogger, mentre, solo per il 14%, i blog “filtri” di cui i contenuti sono esterni al blogger trattando di eventi e notizie.

Gli argomenti trattati dai blog al femminile sono soprattutto letteratura, argomenti psicologici, sociale e, infine, sesso e cultura. La politica è quasi del tutto assente. Lo studio sottolinea che i blog che parlano di politica hanno più di 2 anni e non esiste alcun blog su questo argomento che abbia meno di un anno. E la cosa è giustificata dalla studiosa così: “le donne che scrivono di recente sui blog hanno altri interessi e scrivere seriamente sugli affari politici correnti non è la loro priorità”. Pessimista sulla loro volontà di cambiare regole e tradizioni della società iraniana chiedendo uguali diritti, la Kiani pone la tesi che le donne iraniane chiedano piuttosto uguali opportunità nella sfera privata.

Questione di blog. La dottoressa Kiani ha effettuato uno studio su 124 blog di donne iraniane tra gennaio e marzo del 2008, ma la piattaforma per blogger su cui ha effettuato la ricerca, i più comuni Blogfa and PersianBlog, sono quelli tenuti più sottocontrollo dalla censura iraniana. Un particolare che la ricercatrice non avrebbe di certo dovuto omettere.

Il Weblogistan ha rappresentato un punto di svolta per far emergere innanzitutto i problemi intimi delle donne, quelli che erano tabu, ma quando la censura si è fatta più forte i blog sono serviti a creare reti. Reti attraverso cui intrappolare la realtà, bloccarla e cambiarla. In una rete un aiuto arriva da tutti i fili. Come quello del Centro di Astronomia di Toruń (Polonia) che in una decina di pagine zeppe di numeri e logaritmi riesce a spiegare le anomalie nel voto dell’elezioni iraniane.




Uno studio pubblicato il 5 aprile 2008 dall’Harvard University sull’influenza di internet nelle democrazie (Internet and Democracy) aveva dimostrato che la blogosfera iraniana è la piattaforma di comunicazione pubblica più aperta per il discorso politico. La ricerca ha indicato che in questo immenso spazio di discussione, fatto di approssimativamente 60.000 aggiornamenti abituali, dominano quattro maggiori formazioni di network, o poli, divisibili ancora in sub-cluster di blogger:

1) Laico/riformista
2)Conservatore/religioso
3) Poesia e letteratura persiana
4) Reti miste

Il polo Laico/riformista contiene sia espatriati che iraniani legati al dialogo sulle politiche iraniane. Il polo conservatore/religioso contiene tre distinti sotto-classi, due focalizzati principalmente su argomenti religiosi e uno sui affari attuali e politici.

Gli studiosi dell’Harvard sono rimasti stupiti del fatto che nonostante l’alto tasso di arresti e persecuzioni dei blogger, si trovassero tante aperte contestazioni sulla blogosfera – per la maggior parte di persone che vivono in Iran – ma che, soprattutto, solo una piccola minoranza di questi si esprima in forma anonima, anche in quei discorsi più politicamente schierati. È più comune, invece, tra i blogger conservatori/religiosi “bloggare” in anonimo.

Blogosfera control resistant. In definitiva la blogosfera iraniana ha un’architettura peer-to peer più resistente a catture o controlli da parte dello Stato rispetto a quell’architettura vecchia, mozza e parlata del modello mass-mediale. Ecco spiegato perché dal 12 giugno, dalle elezioni presidenziali, i media tradizionali non sono arrivati ultimi suoi fatti iraniani: non hanno fatto proprio numero.

Parafrasando la prima tesi del Cluetrain Manifesto del 1999 potremmo dire che “le rivoluzioni sono conversazioni”. E se lo Stato blocca la telefonia, le conversazioni sono su Facebook, su Twitter, sui blog.

I Guardiani della Rivoluzione hanno puntato bene il loro mirino. Sbarazzandosi prima della stampa estera e cominciando poi la repressione interna. Prima spacciando i siti che lanciano il movimento di Mousavi come “sponsorizzazioni supportate finanziariamente e tecnicamente dalle aziende canadesi e statunitensi, appoggiate dai servizi di intelligenze Usa e britannico”, poi - con l’appoggio della magistratura - si è giunti ad annunciare l’applicazione della pena di morte per chi provoca di disordini.

Tanti sono i metodi per eludere i Guardiani: dai siti web appositamente creati per permettere di aggiornare automaticamente pagine di cui è importante avere informazioni dell’ultimo minuto; link a istruzioni per mandare e-mail anonime; software che permettono di comunicare su network anonimi.





(www.flickr.com/photos/till)




La censura sovrasta giornali, siti, alcune piattaforme di blog, i social network sono piene di infiltrazioni, le comunicazioni telefoniche sono impossibili in alcune aree. Ma ora la situazione peggiora perché anche i blog che riescono a sfuggire non possono operare: ad essere tagliata di tanto in tanto è anche l’elettricità. O perché i blogger hanno le mani impegnate dalle manette.

Lacrime di coccodrillo. In quello che Reza Pahlavi, tra una lacrima e un bicchiere d’acqua, chiama un “brutto momento di mancanza di rispetto sia verso Dio che verso l’uomo”(“ …The citizens of Iran will not stand it. And at the end, he will not stand”), chi detiene l’informazione sono i Guardiani, ma non della Rivoluzione…

Come dice uno spot, divulgato dal broadcast di servizio pubblico del Ministero dell’Intelligence iraniano, negli schermi già da febbraio: “Siamo i guardiani della vostra informazione”.
E si vede.











Fonti: The Huffington Post, Reporter Senza Frontiere, Twitter, npr.org

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